Il settore condominiale è ampiamente regolamentato dalle norme del Codice Civile, tuttavia, in molteplici casi, un “regolamento contrattuale” può derogarne i criteri legali. Vediamo come in un’interessante articolo del Sole 24 Ore.
da Il Sole 24 Ore | l’Esperto Risponde | lunedì 1 giugno 2015
Secondo l’articolo 1138 del Codice civile quando in un edificio il numero dei condòmini (indipendentemente dal numero delle unità immobiliari esistenti nello stabile) è superiore a dieci, dev’essere formato un regolamento atto a dettare le modalità di gestione circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun proprietario, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione. Ciascun condomino, inoltre, può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente, entrambi subordinati ad un quorum pari alla maggioranza degli intervenuti all’assemblea e almeno della metà del valore dell’edificio.
La giurisprudenza tuttavia riconosce un’ulteriore tipo di regolamento avente natura contrattuale. Questo può essere di origine esterna (vale a dire predisposto dal costruttore-venditore, allegato al primo atto di vendita e successivamente accettato anche da tutti gli altri acquirenti) o di origine interna (nel caso in cui sia stato approvato all’unanimità dai condòmini in un momento successivo alla venuta in essere del condominio, e sia stato poi accettato da tutti i futuri acquirenti).
Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale hanno valenza vincolante per gli acquirenti delle singole unità immobiliari, anche qualora nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento pur non inserendolo materialmente giacché deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cassazione Civile, 21 settembre 2011, n. 19209).
Non sono parimenti necessarie né la trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, né la sottoscrizione da parte dell’acquirente del regolamento stesso (Cassazione, 31 luglio 2009, n. 17886).
Tuttavia il regolamento predisposto dal costruttore non è considerato vincolante per coloro che abbiano acquistato le unità immobiliari prima della predisposizione dello stesso, ancorché nell’atto di acquisto sia posto a loro carico l’obbligo di rispettare il regolamento da redigere in futuro, mancando uno schema definito, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti (Corte d’appello dell’Aquila, 17 gennaio 2012).
Diversamente dal regolamento “condominiale”, avente origine da una delibera assembleare, il regolamento con natura contrattuale può contenere clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o su quelle comuni, così come possono esserci clausole che attribuiscono ad alcuni dei condòmini maggiori diritti rispetto ad altri.
Tali disposizioni sono costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile a una servitù reciproca (Cassazione, 18 gennaio 2011, n. 1064). Dal punto di vista strutturale, in questi casi ci si trova di fronte a un contratto plurilaterale con la specifica funzione di costituire una sorta di statuto della collettività condominiale (Cassazione, 17 aprile 2009, n. 9317).
Il regolamento contrattuale può anche prevedere un criterio “convenzionale” di riparto delle spese, derogando così ai criteri legali.
È legittima la delibera assembleare che, in base a un regolamento contrattuale, disponga che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto di riscaldamento o dell’ascensore siano a carico anche delle unità che non fruiscono del servizio (Cassazione, 23 dicembre, 2011, n. 28679).
Infatti, a norma dell’articolo 1123 del Codice civile, la disciplina legale di ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio è, in linea di principio, derogabile.
Deve ritenersi, di conseguenza, legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina che sia contenuta in questo tipo di regolamento (Cassazione, 28 giugno 2004 n. 11960). Fa eccezione la ripartizione della spesa del riscaldamento a seguito dell’adozione della contabilizzazione e termoregolazione a norma del Dlgs 102/2014 (articolo 9, comma 5). In questa situazione, la spesa dev’essere ripartita considerando i consumi effettivi, e trattandosi di una norma imperativa, sarà quindi nulla, ai sensi dell’articolo 1418 del Codice civile, una diversa pattuizione tra i condòmini.
Il requisito della forma scritta – che è essenziale per la validità dell’atto – deve reputarsi necessario anche per le eventuali variazioni, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica semplicemente per il tramite di comportamenti dei condòmini che per anni hanno violato le norme in esso contenute (Cassazione, 5 febbraio 2013, n. 2668).
Va, inoltre, precisato che le disposizioni dei regolamenti hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni, oppure di clausole che attribuiscono ad alcuni condòmini maggiori diritti rispetto agli altri. Qualora, invece, si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condòmini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata a maggioranza (Cassazione, 15 giugno 2012, n. 9877).
In ogni caso il regolamento (sia assembleare sia contrattuale) non può derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 del Codice civile (aventi a oggetto, tra le altre cose, gli obblighi dell’amministratore, i quorum per le approvazioni, il funzionamento dell’assemblea), così come non può vietare di possedere o detenere animali domestici.