La domanda che la stanchezza da covid periodicamente ci ripresenta è sempre la stessa: come e quando finirà? Se sui tempi non è possibile esprimersi ancora con certezza, è però assai probabile che della malattia da nuovo coronavirus non ci sbarazzeremo di punto in bianco.
Sarà piuttosto un lungo addio, preceduto da una – si spera – sempre più gestibile convivenza con il SARS-CoV-2. In altre parole, data l’elevatissima diffusione della covid, è difficile che i vaccini riescano a debellarla del tutto. Più realisticamente, la malattia diventerà endemica. È lo scenario tratteggiato in un articolo su The Conversation, che spiega anche che cosa si intende per endemia.
Il fatto che un gran numero di persone sulla Terra non abbia ancora contratto l’infezione indica che il nuovo coronavirus ha ancora “materiale” a sufficienza per continuare a circolare per qualche tempo. Per quanto cinico possa sembrare, per i virus non siamo altro che strumenti di replicazione che camminano. Nei prossimi mesi, la prospettiva di una serie di vaccini in grado di limitare i contagi, insieme a quella di una certa immunità a caro prezzo acquisita della popolazione, dovrebbero iniziare a rallentare la corsa del patogeno.
Ma la sua uscita di scena non sarà repentina. Nelle aree densamente popolate o con ancora un alto numero di persone suscettibili all’infezione, la covid continuerà a circolare a livello sostenuto. Quando immunità acquisita e misure di controllo riusciranno a portare il tasso di contagiosità (Rt) a un livello uguale o inferiore a 1 – ossia ogni individuo contagia al massimo un’altra persona – l’infezione si stabilizzerà a un livello costante e facilmente prevedibile. Sarà sempre presente in determinate comunità, ma con una prevalenza bassa.
Se si escludono le malattie a trasmissione sessuale o le infezioni pediatriche, che sono presenti e attive un po’ ovunque seppure in diversa misura, oggi la maggior parte delle infezioni è endemica in determinate aree geografiche: altrove, interventi di sanità pubblica hanno eliminato l’infezione o le condizioni che le servono per circolare. È il caso della malaria, della dengue, di Zika e di moltre altre malattie trasmesse dalle zanzare, divenute endemiche nelle regioni tropicali.
Le malattie endemiche sono caratterizzate da schemi di diffusione ricorrenti. Alcune si diffondono con maggiore frequenza in determinate stagioni (pensiamo all’influenza), altre alternano periodi di maggiore trasmissione a periodi di bassa trasmissione e tutte continuano a circolare finché è presente un bacino di persone non ancora contagiato. La presenza di sacche di popolazione più suscettibili, perché in aree geografiche inizialmente risparmiate dal grosso della circolazione, continua ad alimentare l’endemia come farebbero le braci ancora ardenti in un camino.
Le infezioni contro le quali si sviluppa un’immunità permanente, come il morbillo, e in cui ogni bambino nato è suscettibile finché non abbia ricevuto un vaccino, sono più diffuse nei Paesi con un tasso di nascite elevate: è il motivo per cui nelle aree più povere del mondo si fa il possibile per far vaccinare i propri figli mentre nell’Occidente, che ha ormai dimenticato le conseguenze del morbillo, guadagnano consenso i movimenti antivax.
Nelle malattie contro le quali si sviluppa un’immunità temporanea, la popolazione perde periodicamente l’immunità per diventare di nuovo suscettibile: virus e batteri hanno imparato a sviluppare mutazioni per eludere la barriera immunitaria, come vediamo per il virus dell’influenza. In questi casi, i vaccini disponibili vanno aggiornati di anno in anno, per offrire la migliore protezione possibile. Non sappiamo quanto duri l’immunità al patogeno della covid: quella in risposta ad altri e meno gravi coronavirus si esaurisce dopo circa un anno.
Se i vaccini ci proteggeranno dagli esiti più sfavorevoli della covid, la malattia potrebbe diventare una delle tante dalle quali ci vacciniamo o nella quale incorriamo almeno una volta nella vita. Con la differenza che per allora potremmo aver imparato a proteggere le persone più fragili. Se i vaccini riuscissero a ostacolare fortemente anche la trasmissione o a conferire un’immunità di lunga durata, potremmo sperare in più ottimistici, ma meno realizzabili scenari: l’eradicazione permanente è una sfida complessa anche per le malattie contro le quali si siano sviluppati vaccini di estrema efficacia o immunità permanente (come il morbillo).
La storia insegna che spesso, le pandemie si concludono prima a livello sociale che sul piano medico: stanchi di avere paura, ci si abitua alla loro più rara presenza. Del resto la peste non è stata cancellata del tutto: ancora oggi si presenta in circostanze sporadiche, molto spesso curabile con antibiotici.
Due studi su come si propagano i fluidi nell’aria rivelano nuove informazioni sulla trasmissione della covid negli spazi chiusi, uno dei nodi principali dell’attuale fase di convivenza con il coronavirus SARS-CoV-2. Il primo lavoro fa luce sulla nuvola di goccioline sprigionata quando tossiamo e sull’efficacia delle mascherine nel contenerla; il secondo analizza gli effetti della ventilazione nelle stanze e spiega perché è consigliabile arieggiare spesso i locali che abitiamo.
La prima ricerca, pubblicata su Physics of Fluids da due scienziati dell’Indian Institute of Technology Bombay, propone un modello di come il volume della nube di particelle esalate con la tosse cambi con il passare del tempo. I ricercatori hanno scoperto che i primi 5-8 secondi dopo aver tossito sono quelli in cui i droplets emessi rimangono sospesi nell’aria, e risultano dunque cruciali per la diffusione di un’eventuale infezione. Passato quel lasso di tempo, la nube di goccioline inizia a disperdersi. Il dato più interessante riguarda però le mascherine: indossarne una chirurgica riduce di 7 volte il volume della nuvola di particelle infettive emesse tossendo, mentre il modello N95, più filtrante, lo assottiglia addirittura di 23 volte.
«Qualunque cosa riduca la distanza coperta dalla nube, come una mascherina, un fazzoletto o tossire nell’incavo del gomito, dovrebbe assottigliare di molto anche la regione sulla quale i droplets si disperdono e quindi le chances di infezione» chiarisce Rajneesh Bhardwaj, tra gli autori.
Il secondo studio, pubblicato sulla stessa rivista scientifica, ha invece esplorato il viaggio degli aerosol infetti in una stanza chiusa e con aria condizionata, come può essere una classe o un ufficio. Dal modello, elaborato dagli scienziati dell’Università del Nuovo Messico, si vede che un gesto semplice come aprire le finestre fa aumentare di oltre il 40% la quota di particelle in uscita dal sistema.
Secondo gli autori, il flusso d’aria all’interno di una stanza chiusa fa sì che tra le persone presenti vi sia comunque uno scambio di particelle significativo (pari all’1% del totale di quelle emesse) anche quando si mantiene una distanza di 2,4 metri. Tuttavia, quando si aprono le finestre si fa uscire quasi il 70% delle particelle di un micrometro (un millesimo di millimetro) esalate.
In base al modello, l’aria condizionata può rimuovere fino al 50% delle particelle emesse respirando o parlando, ma la quantità rimanente si deposita sulle superfici interne alla stanza, e da lì potrebbe essere rimessa di nuovo in circolo (è perciò fondamentale l’igiene delle mani). La ricerca ha anche confermato che la distribuzione degli aerosol residui non è uniforme ma varia a seconda dei punti della stanza e che le barriere in plexiglass a protezione della scrivania o del banco ostacolano il passaggio dell’aria locale, vicino al soggetto, deviando la traiettoria delle particelle e rendendo il contagio meno probabile.
Ricerche come queste forniscono informazioni importanti su come limitare i contagi nei luoghi chiusi e affollati, laddove li si debba frequentare di persona. Indossare sempre le mascherine, tenere le finestre aperte, migliorare i sistemi di ventilazione, installare barriere trasparenti attorno ai tavoli e sistemare i soggetti più a rischio nei punti meno esposti al passaggio di particelle (che variano a seconda di dove sono stati disposti gli impianti di condizionamento) sono misure che abbattono il rischio di contagio.
Le particelle infette possono persistere per periodi da dieci a venti minuti all’interno di un ascensore dopo un colpo di tosse di un persona contagiata da Sars-Cov-2, durante il normale funzionamento. Con le porte dell’ascensore permanentemente chiuse, come nel caso degli impianti a porte manuali, questo periodo può aumentare fino a 30 minuti.
E’ quanto emerge da uno studio condotto dalla UvA (University of Amsterdam), in collaborazione con il locale centro medico universitario (UMC), sotto la guida dei fisici UvA Prof. Daniel Bonn e Dr. Cees Van Rijn. La ricerca è stata pubblicata mercoledì 23 settembre sulla rivista scientifica Indoor Air.
Gli Aerosol, contenenti piccole particelle respiratorie, sono sempre più considerati come un veicolo potenzialmente rilevante di trasmissione del virus, come sottolineato dal Team ed in recenti posizioni dell’OMS peraltro basate su precedenti ricerche di Bonn e collaboratori.
I ricercatori hanno utilizzato un ugello spray appositamente progettato, disperdendo una quantità controllata di “goccioline”, con la stessa distribuzione dimensionale dei droplets respiratori evaporati da un singolo colpo di tosse, ed uno specifico strumento laser per illuminarle in modo che potessero essere conteggiate e monitorate nel tempo.
“Abbiamo scoperto che, durante il normale funzionamento, occorrono dai 12 ai 18 minuti prima che il numero di particelle diminuisca” afferma il responsabile della ricerca Daniel Bonn. “Quando le porte dell’ascensore sono permanentemente aperte questo tempo si riduce a 2-4 minuti”. Nel caso in cui le porte rimangano chiuse questo periodo raggiunge anche i 30 minuti prima dell’effettiva dispersione.
Sulla pagina dedicata sul sito UvA si legge che “L’espettorato infetto (la miscela di saliva e muco che viene espulso con la tosse) può trasportare da diecimila a un miliardo di copie di RNA del virus per millilitro. Il valore di un miliardo corrisponde a circa una particella virale per gocciolina di aerosol con un raggio di 5 micrometri. Parlare ad alta voce può produrre fino a poche centinaia di migliaia di goccioline al minuto, mentre un solo colpo di tosse può già produrre qualche milione di goccioline. Respirare l’aria dopo che un paziente infetto abbia parlato o tossito all’interno di un ascensore implica una potenziale assunzione di decine fino a molte migliaia di copie di RNA di COVID-19 al minuto, a seconda dell’infettività del paziente infetto. La dose infettiva minima non è nota; si ritiene tuttavia che la gravità dei sintomi da Sars-Cov-2 sia proporzionale alla dose che causa l’infezione.
In relazione all’emergenza sanitaria dovuta al fenomeno “COVID-19” sul mercato sono rapidamente apparsi numerosi prodotti destinati, più o meno specificatamente, alla disinfezione permanente delle cabine di ascensore, nonché servizi di periodica sanificazione.
Purtroppo relativamente al sistema ascensore, le sanificazioni periodiche, per quanto frequenti, potranno essere difficilmente considerate un’efficace sistema di contenimento dalla diffusione del contagio per la limitata azione temporale del trattamento che, ove particolarmente incisivo, potrebbe comportare rischi ambientali e per la salute degli utenti. In tal senso l’utilizzo di sistemi chemical-free appare quindi in assoluto la migliore delle soluzioni applicabili.
Nonostante l’elevato numero di richieste pervenute, prima di disporre l’effettiva commercializzazione del prodotto, abbiamo analizzato i prodotti maggiormente diffusi ed utilizzati nel settore ascensoristico, selezionando fra questi le apparecchiature ritenute più idonee all’esigenza sulla base di rapporto price-performance, idoneità e documentazione prodotta dal fabbricante.
La scelta dell’azienda è ricaduta sul sistema Aircare della BioZone Scientific, gruppo internazionale con sede a Orlando, in Florida, ed uffici globali in Cina, Regno Unito ed Europa, dedito alla ricerca ed alla produzione di sistemi di purificazione senza sostanze chimiche per l’eliminazione di virus, batteri, funghi, altri tipi di crescita microbica e odori.
Le apparecchiature BioZone impiegano una progredita e brevettata tecnologia basata su una sorgente a lampade UV (Deep UV Light), attraverso la quale si genera il principio di funzionamento basato sull’integrazione di 5 tecnologie di purificazione:
Il fotoplasma, generato dalle lampade UV attraverso la tecnoclogia BioZone, è un “cocktail” di specie altamente reattive contenenti ossigeno, e più precisamente una miscela di atomi di ossigeno, ossidrili, ozono, e radicali liberi che sono in grado di neutralizzare odori, batteri, virus, muffe ed abbattere sostanze chimiche e composti indesiderati. E’ naturalmente esistente in natura ed è spesso indicato come il “detergente” dell’atmosfera terrestre a causa della sua capacità di reagire con molti inquinanti dannosi.
La tecnologia PCO (Photocatalytic Oxidation), ovvero ossidazione fotocatalitica, è un processo avanzato di ossidazione che combina la potenza di una ‘profonda’ radiazione UV (circa 290-320 nm) con l’azione di catalizzatore metallico reattivo per accelerare la fotoionizzazione. Questo processo genera radicali liberi altamente reattivi consentendo di distruggere cataliticamente i VOC (Volatile Organic Compound) ed ossidare con efficacia odori, sostanze chimiche indesiderate, batteri e virus.
La capacità germicida delle irradiazioni UV (UVGI: Ultraviolet Germicidal Irradiation) è estremamente progredita negli ultimi anni ed è ormai riconosciuta come un valido metodo per l’abbattimento della contaminazione batterica. Attraverso le lampade contenute negli apparati le radiazioni UV prodotte sterilizzano in maniere efficace i microorganismi che sono trasportati dal flusso d’aria convogliata all’interno.
Gli ioni negativi vengono formati all’interno delle apparecchiature ed immessi nel flusso d’aria dove collidono con i composti chimici aero-portati ed i microrganismi presenti innescando una reazione a catena. La loro presenza diminuisce la concentrazione totale di sostanze e contaminanti dannosi presenti nell’aria.
È Generato dalla reazione fra ossigeno e radiazione UV; distrugge germi, virus, funghi, odori, e prodotti chimici aggressivi. La concentrazione massima di ozono immessa in ambiente è inferiore a 0,05 ppm, in accordo con gli standard internazionali di Igiene Ambientale ed ampiamente al di sotto dei limiti di esposizione pari, secondo le linee guida comunitarie sugli ambienti lavorativi (EH38: EU Work Exposure Limits) a 0,2 ppm per periodi di 15 minuti. Al riguardo, prima di procedere alla commercializzazione del prodotto, la nostra azienda ha richiesto ed ottenuto per il tramite dei canali distributivi dichiarazione di conformità ai livelli di emissione di ozono e idoneità all’uso del dispositivo in ascensori e montacarichi dalla BIOZONE SCIENTIFIC UK LTD.
L’azione congiunta delle differenti tecnologie consente quindi di eliminare con efficacia composti organici volatili, particolato aero-portato, odori, acari, ed inattivare contaminanti biologici come microrganismi, virus, funghi, e lieviti, con un modesto consumo energetico e, grazie all’assenza di filtri, un economico mantenimento ed una contenuta manutenzione periodica che si concretizza nella sostituzione della lampada germicida a cadenza annuale.
Lampada UV: sterilizza l’aria, elimina batteri, muffe e spore presenti nell’ambiente
Ossidazione fotocatalitica con raggi ultravioletti: combatte i residui organici presenti nell’aria
Ozono: rende i micro-organismi presenti nell’aria inoffensivi
Tecnologia al plasma: i componenti altamente reattivi dell’ossigeno purificano l’aria
Ioni negativi: rinforzano l’azione di purificazione dell’aria, rimuovendo le particelle di polvere
Non sono presenti componenti chimici o filtri da cambiare, è previsto solo il cambio della lampada UV annuale da parte dei nostri tecnici.
TRATTAMENTO ARIA E SUPERFICIE MEDIANTE IRRADIAZIONE GERMICIDA UV-C [EN]
EFFICIENZA DELLA TECNOLOGIA DEL PLASMA AD OSSIGENO FREDDO CONTRO DIVERSI VIRUS RESPIRATORI PER VIA AEREA [EN]
L’EFFICACIA DELLA TECNOLOGIA BIOZONE™ NELLA DISTRUZIONE DEL VIRUS H5N2 [EN]
SCHEDA TECNICA [EN]
SCHEDA DI SICUREZZA [EN]
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